Ho appreso con molto dispiacere della scomparsa di Yamada Yoshimitsu Shihan, responsabile dell’Aikikai di New York, aikidoka ed insegnante di fama mondiale.

È venuto infatti a mancare, come giustamente scritto e ribadito nelle ultime ore da più di qualcuno, un vero e proprio pezzo della storia dell’Aikido. Yamada sensei iniziò a praticare all’età di 15 anni e fu uchi-deshi all’Aikikai Hombu Dojo anche sotto la guida diretta del Fondatore, O Sensei Ueshiba Morihei. Giunto a New York City nel 1964, egli si adoperò per la crescita del dojo della metropoli statunitense – che trasformò letteralmente, tramutandolo in una vera e propria scuola internazionale – e si prodigò sempre per la diffusione e la crescita dell’Aikido sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo. In tal senso fu uno dei personaggi chiave nel processo di “sdoganamento” dell’Aikido in occidente e nel lungo percorso di crescita ed incremento esponenziale dei praticanti al di fuori del Giappone. Alcuni cenni biografici sul maestro sono liberamente leggibili in una mia precedente nota, Schizzi di Ki: Yoshimitsu Yamada.

La tristezza nell’apprendere della dipartita di Yamada Shihan è stata accentuata dal fatto di aver avuto il privilegio di poter assistere ad alcuni suoi seminari, anni fa. Di averlo in qualche modo, seppur assai poco e di sfuggita, conosciuto personalmente.

Praticai la prima volta sotto la sua guida a Trieste il 4 settembre 1999: venne invitato nel capoluogo giuliano a dirigere un koshukai dal m° Alessandro Chiancone, fondatore e dojo-cho del Mutokukan Dojo Trieste. Io avevo il 1 kyu e mi presentai alla lezione assieme al mio maestro di allora, Claudio Benedetti.

Del seminario ricordo poco, tranne l’impressione che mi fece il praticare sotto la guida di un maestro così famoso ed importante in una sala relativamente piccola: Yamada sensei guardava ed assisteva nella loro pratica tutti i presenti, anche grazie al numero non elevatissimo dei partecipanti. Eravamo ospitati in una delle palestre secondarie del Palasport di Chiarbola. Ricordo la cortese semplicità di Yamada sensei, una strana miscellanea di giapponese sinteticità e di quella schiettezza fraterna che generalmente connota gli americani: in una pausa stavo uscendo dal palazzetto dopo che era girata la voce che non sarebbero stati raccolti i libretti personali per sottoporli alla firma del maestro. Non so il perché. Incontrai Yamada sensei sulle scale, mentre si stava godendo il sole di fine estate in attesa di spostarsi per il pranzo; avevo con me il mio budopass e pensai di cogliere l’attimo: con il mio inglese limitato e grezzo chiesi Sorry Sensei, can you stamp? Egli sorrise cortesemente e, borbottando un fugace ‘course!, autografò il libretto che gli porgevo.

Ebbi per altre due volte l’occasione di frequentare un seminario diretto da Yamada Yoshimitsu Shihan: a Trieste nel settembre 2000 – stavolta il numero dei partecipanti si era decuplicato ed eravamo ospitati, a stento, nella sala principale del Palazzetto dello Sport, l’allora struttura sportiva indoor di punta della città – e nel dicembre 2005 a Lignano Sabbiadoro (UD), entrambe le occasioni organizzate dal m° Chiancone del Mutokukan Dojo. Ricordo bene che, a Lignano, il numero dei partecipanti era molto consistente, ed una parte del keiko venne affidata ad uno degli allievi anziani di Yamada sensei, che aveva accompagnato il maestro da New York: quest’ultimo ci sfiancò con un allenamento davvero provante a suon di kokyunage. L’aikido di Yamada sensei, ricordo, pur proposto con una didattica ed una pedagogia differente da quella di Iwama – nella quale ero cresciuto ed alla quale ero più avvezzo – mi era piaciuto molto: dinamico, radicato, plastico ma efficace, non troppo dissimile dalle esecuzioni kinonagare dei senpai dell’Iwama-ryu.

Apprendere oggi di questo lutto e soffermarmi a meditare brevemente su Yamada sensei mi ha portato anche a ripensare, ancora una volta, all’epoca d’oro dell’Aikido triestino, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000: era un momento pionieristico in città, quando alcuni senpai locali stavano gettando i semi per la fioritura di differenti scuole cittadine/regionali (Aikikai, Iwama-ryu, Mutokukai, Ki-aikido, Kobayashi-ryu…), molte delle quali ancor oggi perdurano e prolificano.

L’atmosfera aikidoistica del capoluogo giuliano, a quel tempo, non era ancora stata ammorbata dai campanilismi e dai settarismi degli anni successivi e molti praticanti, sebbene già chiaramente orientati nelle loro scelte didattiche e stilistiche, erano soliti frequentare i seminari organizzati dagli “altri” per conoscere, comprendere, comparare e ponderare. Ciò aveva fatto di Trieste un interessante crocevia di seminari ad alto livello, sia nazionale che internazionale: Alessandro Chiancone vi portava personaggi europei del calibro di Stephane Benedetti e Malcom Tiki Shewan o internazionali come Yamada Yoshimitsu e Motokage Kawamukai, Attilio Lovato vi aveva portato Takeji Tomita e Paolo Nicola Corallini, Claudio Benedetti vi faceva arrivare Giorgio Oscari, Giuseppe Lisco e Renato Visentini, Michele Marolla invitava Alessandro Tittarelli, Miles Kessler o Akimasa Watanabe. L’intera comunità aikidoistica cittadina si giovava di questo “andirivieni” di maestri, potendo toccare con mano le varie correnti interpretative senza doversi sobbarcare viaggi e spese piuttosto onerosi.

Quel tempo è ormai concluso ed oggidì la visione oscurantista di coloro che frequentano i soli eventi della propria parrocchia – o che scoraggiano gli altri a frequentare i propri – ha reso molto difficile organizzare eventi di rilievo in città: contando esclusivamente sulle proprie forze, spesso, non si raggiunge la massa critica per sostenere il peso economico e logistico di un’organizzazione più complessa, quale quella di un koshukai d’alto livello. I seminari si sono rarefatti, spesso hanno cessato d’esser organizzati. Tutti ne abbiamo pagato lo scotto.

Nel ricordo di Yamada Yoshimitsu Shihan che, come ricordato dalla pagina ufficiale dell’Aikikai di New York, amava le lezioni aperte e niente di più che quelle molto frequentate da praticanti con buon spirito (He loved nothing more than big classes with high spirits […]) auspico che si possa ritornare anche a Trieste ad un periodo di proficuo dialogo interstile che consenta, nel rispetto delle reciproche scelte tecniche e metodologiche, di conoscere anche gli altri-da-sé all’interno della grande famiglia degli aikidoka. A mio avviso è questo l’unico modo per infondere spessore e consistenza alla propria scelta stilistica e di pratica.

@EnricoNeami