Non amo pubblicare testi scritti in prima persona, chi mi segue lo sa; stavolta però il contesto lo impone.
Domenica 18 dicembre 2022 ho avuto l’onore ed il grande piacere di prendere parte ad un evento fuori dallo spazio e fuori dal tempo: l’inaugurazione dello Shobukan Dojo Trieste.
Si tratta di un dojo casalingo, ben realizzato e perfettamente rifinito, con pazienza e dedizione dall’amico Paolo Bertocchi, praticante riconosciuto di Tenshinshō-den Katori Shintō-Ryū e segretario dell’omonima associazione italiana, aikidoka (shodan Dentō Iwama Ryu), mio primo allievo all’allora Sakura Aiki Dojo Trieste ed attuale vicepresidente dell’Iwama Budo Kai a.s.d.
La cerimonia ed il keiko inaugurale sono stati guidati da Luisa Raini Sensei, Menkyo e Shidōsha (responsabile tecnico per l’Italia riconosciuto dal Giappone) del Tenshinshō-den Katori Shintō-Ryū, la kōryu fondata nel 1447 presso il Tempio di Katori e, da allora, ininterrottamente trasmessa i shin den shin (da allievo a maestro per trasmissione diretta) fino all’attuale caposcuola Kyōsō Shigetoshi, secondogenito di Ōtake Risuke (del quale Raini Sensei è stata per decenni rappresentante personale).
Luisa Raini ha proposto assieme ad alcuni suoi allievi del dojo triestino e ad Alessandro Krizman Menkyo quasi l’intero programma dell’antica scuola, che attualmente prevede forme con il ken, con il kodachi, con la naginata, lo yari, il bo e il jo (un tempo prevedeva anche tecniche di taijutsu e disarmo, shuriken e altre materie ‘campali’, oggi andate perdute).
Ospiti dell’evento – il simbolo dell’Iwama Shin Shin Aikishurenkai con il nome ‘Iwama Budo Kai’ autografato da Saito Hitohira Sensei faceva bella mostra di sé sul kamiza del dojo – il sottoscritto Enrico Neami, Aiki Shuren Dojo Trieste dojo-cho, con Silvia D’Arrigo (shodan Dentō Iwama Ryu e segretario dell’Iwama Budo Kai a.s.d.) e Stefano Favero (shodan Dentō Iwama Ryu da lunga data, socio fondatore dell’Iwama Budo Kai a.s.d.), comune amico di Paolo Bertocchi e mio. Abbiamo avuto modo di dimostrare un breve campionario di tecniche di taijutsu e, quindi, jo, ken e ken tai jo, oltre a tachidori, jodori e jo mochi nage waza.

L’evento – eccezionale nella sua tradizionale semplicità, imperniata sulla pratica sincera e verace – ha rappresentato uno di quegli istanti nella vita in cui, nello stesso momento in cui li si vive, matura la profonda consapevolezza dell’unicità ed irripetibilità dell’attimo, nonché la certezza che il ricordo di quanto si compartecipa non verrà dimenticato.
Ho provato innanzitutto una profonda solidarietà e felicità per l’amico Paolo: i suoi lodevoli sforzi nel restaurare, riadattare ed allestire il suo dojo hanno dato ottimi frutti. Frutti, poi, più che meritati: sempre attento alla pratica, all’efficacia del movimento ed alla correttezza del gesto, Paolo si è sempre disinteressato – nella giusta misura – a diplomi, gradi e riconoscimenti, preferendo la sostanza alle chiacchiere. Ben si merita l’ottima riuscita del dojo e la degna inaugurazione del 18 dicembre.
Sono stato estremamente onorato di calcare lo stesso tatami assieme a Luisa Raini Sensei: pur non essendo un conoscitore del Katori Shinto-ryu ho riconosciuto nello sguardo, nei movimenti e nell’attitudine del maestro quella sincerità di pratica, nettezza del gesto e politura dello spirito che può venire espressa solamente da un praticante ben al di sopra della norma.
Spero di essere stato all’altezza, assieme alla mia allieva Silvia ed all’amico Stefano, di reggere il confronto nel rappresentare – comunque – la Scuola di Aikdo Tradizionale di Iwama (Dentō Iwama Ryu Aikido) guidata da Saito Hitohira Sensei tramite la sua organizzazione internazionale Iwama Shin Shin Aiki Shurenkai.
È stato, infine, un piacere impareggiabile tornare a praticare assieme a persone – Stefano, in primis, e Paolo – con i quali ho condiviso momenti pionieristici della mia vita aikidoistica e con i quali condivido memorie e ricordi di cui siamo silenti e gelosi custodi.
Saito Sensei insegna sempre che l’Aikido – il Budo in senso più generale – non è solo o solamente una rigorosa pratica marziale ma è anche e soprattutto, come intendeva il Fondatore, un processo ‘sacro’ di misogi (purificazione dello spirito e del corpo) attraverso il gesto tecnico, il quale apre un ponte metafisico con il mondo spirituale.
Rievocare molti praticanti che non ci sono più – alla pari dei maestri che ci hanno preceduti sulla Via e che sono stati richiamati in essenza dal battito delle nostre mani durante il saluto – tramite la pratica sullo stesso tatami assieme a Stefano e Paolo già di per sé rappresenta una conferma, pur banale, della visione molto più ampia e profonda del Fondatore.
Pensare, poi, che le tecniche cui abbiamo assistito nell’occasione (penso in particolare al patrimonio antichissimo del Tenshin Shoden Katori Shinto-ryu e, quindi, a quelle dell’Aikido Tradizionale ed a quelle del Daito-ryu Aikijujutsu, una delle quali – ippon dori – è stata proposta da Giulio Bussadori, anche istruttore di questa disciplina da cui l’Aikido deriva) fendono letteralmente i secoli per giungere a noi attraverso la trasmissione da insegnante ad allievo, mi lascia sbalordito e riverente.
Sono profondamente grato a tutti i presenti – Luisa Raini Sensei, in primis, ed a Paolo Bertocchi – per aver resa unica e speciale l’inaugurazione profondendo nei gesti di pratica odierni quell’umile sincerità che caratterizza i veri budoka: a ben vedere posso dire, oggi, di essere stato per un momento in Giappone, sebbene io non mi sia spostato e sia stato, in realtà, il Giappone, con la sua Tradizione ed il suo Spirito, ad essersi spostato qui.
Grazie ancora, Paolo.