MUST READ: Laurent Binet (traduzione di Margherita Botto), Einaudi Super ET, (2010) 2014, ISBN 978-88-06-22024-2
Himmlers Hirn heißt Heydrich non è un romanzo storico. Non è nemmeno un saggio. E’ un capolavoro affascinante ed intrigante, avvincente e brillante, profondo e coinvolgente, documentato e puntuale. A buona ragione, il lavoro d’esordio di Binet si è guadagnato il Prix Goncourt du Premier Roman 2010.
L’opera del tutto originale e sorprendentemente anomala, segue idealmente il solco del miglior Luther Blisset/Wu Ming, affrontando con dovizia di particolari storici e, al contempo, notevole pathos e stream of consciousness uno degli accadimenti più epici della seconda guerra mondiale: l’attentato perpetrato ai danni di Reinhardt Heydrich, capo indiscusso dello Sicherheitsdienst delle SS, protettore di Boemia e delfino di Heinrich Himmler, comandante generale delle SS.
Due soldati del vecchio esercito cecoslovacco – Jozef Gabčík, slovacco, e Jan Kubiš, ceco – sapientemente addestrati dal SOE inglese (quello Special Operation Executive britannico che tanta parte ebbe in tutte le operazioni segrete durante il conflitto) si paracadutarono nel protettorato di Boemia e, dopo mesi di attesa silente, portarono un colpo mortale al cuore del sistema nazista, uccidendo Heydrich e venendo poi ricercati, braccati ed uccisi a loro volta, dopo un catartico scontro a fuoco ed un lungo assedio alla loro ultima ridotta, una cripta della chiesa dei santi Cirillo e Metodio, nel cuore di Praga.

Al di là dell’immensità delle gesta trattate e del rispetto per chi le portò a termine assumendosene in toto la responsabilità, entrando peraltro nel Valhalla degli Eroi della Storia, ed a prescindere dalle profonde riflessioni sulla banalità del Male e sulle responsabilità individuali e collettive nelle persecuzioni dei regimi dittatoriali – che già di per sé fanno meritare la lettura dell’agile volume – il testo si presenta in una forma scorrevole ed accattivante, sapientemente condito da una giusta selezione di testimonianze fotografiche d’epoca, ed in una forma narrativa ibrida e geniale, che alterna ricostruzioni storiografiche a tratti personalistici ed autoriflessivi dell’autore, ad, ancora, scene che appartengono più al genere delle sceneggiature dei migliori film d’azione che alla realtà, se non fosse che si tratta di realtà vissuta e non del parto di un abile cineasta hollywoodiano.
La lettura del libro soddisfa appieno le molte aspettative dell’arguto acronimo con cui l’autore ha inteso titolare il proprio lavoro.
Il giovane autore (Parigi, 1972) ha servito sotto le patrie armi distaccato in Cecosclovacchia ed ha poi vissuto per parecchi anni tra Praga e Parigi. Ha partorito un ottimo romanzo, un libro superbo, un’opera indimenticabile.
