Nei mesi centrali dell’Estate-più-calda-di-sempre, come è stata da molti definita quella del corrente anno 2022, per la prima volta nella storia di questa regione il Carso (triestino, goriziano, sloveno) è bruciato in maniera devastante ed altamente impattante: migliaia di ettari di bosco e macchia mediterranea sono andati in fumo e ci vorranno decenni per rimarginare la cinerea ferita che ora strazia il nostro martoriato altipiano.
Si ipotizza il criminale intervento di uno o più piromani ed è chiaro di come la frequenza statistica della comparsa di nuovi focolai nell’ultimo mese giochi a favore della probabilità dell’intervento umano nell’innesco quantomeno di alcuni dei roghi principali. Taluni riportano l’avvistamento del piromane in azione e, di fatto, l’autorità giudiziaria e la polizia indagano anche in questa direzione.
A prescindere dall’origine dei fuochi carsici, è chiaro ed evidente come il surriscaldamento globale ed il cambiamento climatico che ormai innegabilmente caratterizza l’antropocene in cui ci troviamo a vivere abbiano generato le condizioni ideali per l’attecchimento e la rapida propagazione degli incendi sul Carso: temperature elevatissime per queste latitudini, unite ad una siccità estrema e prolungata, hanno trasformato le lande dell’altipiano in un immenso innesco a cielo aperto, rendendo la situazione – come si è visto e purtroppo sperimentato – drammaticamente esplosiva e critica.
Possiamo quindi assumere come sostanzialmente certo che la causa dell’inedita e tragica portata degli incendi dell’estate 2022 e dei loro tremendi effetti sia il cambiamento climatico stesso, a dispetto di qualsiasi sia stato l’agente materiale che abbia dato il via al singolo focolaio.
Il cambiamento climatico è generato dall’impatto della crescita sconsiderata e non sostenibile della comunità umana sul pianeta, la quale comporta sempre un’alterazione radicale dell’ambiente naturale tramite interventi che non seguono i miti consigli di sostenibilità che gli studi scientifici suggeriscono ma che si affida, piuttosto, agli imperativi di un modo di produzione sempre più governato dallo sfrenato capitalismo consumista e globalizzato: profitto, guadagno di pochi mascherato ed imbellettato per sembrar crescita, e falso progresso celante la sfrenata e sconsiderata corsa all’ampliamento del mercato.
Scrive Alan Simson, professore di Architettura, Paesaggio e Forestazione Urbana alla Leeds Beckett University [https://theconversation.com/the-urban-forest-of-the-future-how-to-turn-our-cities-into-treetopias-134624]:
Furthermore, economic growth is still deemed to be the prime symbol of the effectiveness of a city, but we need to be equally aware of other invisible values. This will open up new approaches to governance. Governance needs to embrace all forms of value in a balanced way and facilitate a new vision, considering how trees can help create liveable cities.
Inoltre, la crescita economica è ancora considerata il simbolo principale dell’efficacia di una città, ma dobbiamo essere ugualmente consapevoli di altri valori invisibili. Ciò aprirà nuovi approcci alla governance. La governance deve abbracciare tutte le forme di valore in modo equilibrato e facilitare una nuova visione, considerando come gli alberi possono aiutare a creare città vivibili.
Il professor Simson, peraltro, è un propugnatore della riforestazione urbana, nel solco dell’Hundertwasserhaus di Vienna o del Bosco Verticale di Milano: riportare ed integrare nelle città metropolitane – che nel breve volgere di qualche decade tenderanno a divenire ancor più megalopolitane – una dimensione arborea e verde per restituire agli spazi umani quelle caratteristiche di vivibilità e benessere – ma anche, attenzione, di sostenibile produttività ed integrazione economica – andate perdute con la cementificazione dei grandi insediamenti urbani.
Trieste, seppur anch’essa soggetta negli ultimi decenni ad una progressiva espansione ed urbanizzazione dubbiamente programmata o ragionata e scarsamente sostenibile, conserva ad oggi ancora una qualità di vita elevata rispetto ad altre città dimensionalmente paragonabili anche grazie ad un rilevante quantitativo di zone verdi che la circondano e che, spesso, occupano porzioni di quartieri anche non periferici (il Giardino Pubblico Muzio de Tommasini – il Central Park triestino – ed i molti giardini verdi minori sparsi per la città; il Bosco Urbano del Farneto; il Parco di Miramare; il Parco di Villa Giulia; la zona boschiva e di landa del Carso triestino; ecc.).
Alan Simson, se ne può essere certi, ragionando sul capoluogo giuliano teorizzerebbe un implemento della presenza verde ed arborea in città, congiunto ad un’azione di conservazione, manutenzione e protezione delle aree verdi già esistenti. O, quantomeno, di una loro valorizzazione in chiave sostenibile e tutelata.
Qualsiasi persona in buona fede, anche in conseguenza e ragione dell’esperienza traumatica non ancora conclusasi dei roghi d’agosto, non potrebbe che dargli ragione.
Purtroppo, invece, a Trieste pare che la mordoriana frenesia abbattitrice d’alberi abbia obnubilato le menti di molti, anche nella pubblica amministrazione: si assiste così, impotenti ed esterrefatti, al proliferare di progetti di diboscamento a Cattinara, ulteriore cementificazione lungo la Strada Costiera e di realizzazione di improbabili ed altamente impattanti – su una zona, peraltro, già teoricamente soggetta a regime di tutela quale è il Bosco Bovedo – sistemi a Ovovia per unire a scopo turistico il quasi-centro cittadino alla zona carsica di Campo Sacro.
Ebbene è ora di dire basta, unendo la propria voce a chi – il Comitato No Ovovia in primis – già da tempo informa e sensibilizza la cittadinanza sui rischi e sulla futilità di certi progetti. È ora di chiedere ai pubblici amministratori di ragionare e di iniziare a pensare al bene ultimo della nostra già febbricitante terra, comprendendo che il consenso immediato (questo peraltro pure dubbio, dato il numero elevatissimo di cittadini che hanno dimostrato di dissentire) ed il profitto economico delle imprese coinvolte nella realizzazione degli impianti siano obiettivi che non coincidono neppure lontanamente con il benessere di Trieste e dei suoi abitanti, del Carso e della sua gente, in ultima analisi del nostro già malandato Pianeta.