Originale pubblicato su Unione degli Istriani. Periodico della Libera Provincia dell’Istria in Esilio n°17 – dicembre 2013.
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Viviamo in un’era digitale ed informatizzata ove prolificano più bufale postmoderne e leggende metropolitane di quanto non accadesse nel più oscuro – mi si conceda, tanto per non uscir dal seminato – medioevo: tanto maggiore è il flusso di informazioni che la bombarda quotidianamente attraverso i metadati dei nuovi media, degli smartphone e dei tablet, e tanto più frivole e credulone sono le attitudini della massa dispersa che compone la nostra società confusa e facilona.
Abbiamo già avuto modo di tornare più volte con riflessioni e considerazioni sul fantomatico centocinquantesimo dell’unità d’Italia, evento sbandierato e pubblicizzato ad ogni livello sociale e culturale nel 2011, quando ricorreva in realtà l’anniversario, sottilmente quanto sostanzialmente differente, della nascita dello stato unitario italiano, che, beninteso, centocinquant’anni fa non era ancora neppur lontanamente unito, poiché una consistente porzione dei territori che oggi compongono il territorio nazionale nel 1861 non apparteneva all’allora neonato Regno d’Italia.
Il primo anniversario importante dell’unità italiana, infatti, cadrà appena nel 2018, a cent’anni dal termine di quel Risorgimento culminato proprio con la Redenzione di Trento, Trieste, l’Istria e parte della Dalmazia, e , se vogliamo, nel 1920 con Rapallo!
Una certa dose di gretta ignoranza, unita all’affannosa corsa allo scoop mediatico ed alla paura di rimanere indietro rispetto agli altri paesi che affollano la comune casa europea, ci stanno portando a grandi passi verso un’altra falsa e globalizzata ricorrenza, quella cioè del centenario della prima guerra mondiale. È infatti fuor di dubbio che la cosiddetta Grande Guerra scoppiò nell’estate 1914, ma è altrettanto certo che l’Italia sabauda, temporeggiatrice ed opportunista, non scelse di intervenire nel conflitto bellico sino alla fine di maggio dell’anno successivo, il 1915, dopo aver a lungo mercanteggiato con entrambi gli schieramenti i più proficui guadagni territoriali nelle colonie e sul confine nordorientale in cambio della propria belligeranza nella compagine della Triplice Alleanza o dell’Intesa.
Se, pertanto, il 2014 è un anniversario concreto e reale per molte nazioni europee, parimenti esso è una data avulsa di significato materiale per l’Italia, la quale, nel luglio di cent’anni fa, sonnecchiava attendista per cogliere all’ultimo minuto lo slancio profittatore verso il carrozzone a lei più conveniente. Ma le implacabili leggi della globalizzazione imperante – che sono, al contrario delle troppo vituperate normative europee, la reale causa del decadimento morale e civile di tutte le classi della nostra avariata società – hanno ormai disegnato il nostro fato per il prossimo 2014: dovremo sopportare “celebrazioni” della ricorrenza – quando francamente è corretto ritenere che, dato il numero di vittime e la violenza scatenata nel corso del conflitto, sarebbe più opportuno utilizzare l’allocuzione “commemorazioni” –, Riccardo Muti proporrà il suo ormai usuale show musicale storico-civico-politicamente corretto a Redipuglia, e le molte organizzazioni pseudo patriottiche, che sinora si sono bellamente disinteressate degli eventi di fine Risorgimento, snobbando persino gli eventi organizzati da altri, riscopriranno il loro fervore italianissimo per correre sotto i riflettori e le luci della ribalta che si stanno già accendendo su questo misero e tragicomico palcoscenico.
Ricordo ancor’oggi, per limitare il ragionamento al mondo giuliano-dalmata, la riuscitissima manifestazione navale che l’Unione degli Istriani organizzò nel golfo di Trieste il 20 settembre 2008, lanciando in mare, dinnanzi all’Istria, una rosa per ciascuno dei 302 Volontari Irredenti che caddero nel compimento dell’unità nazionale sotto il tricolore della libertà. Era il novantesimo anniversario della Vittoria e della Redenzione delle nostre terre: oltre alla Federazione Grigioverde di Trieste, che partecipò in massa con i propri labari, al Libero Comune di Pola in Esilio, il cui Sindaco di allora era presente sui natanti, ed alle autorità civili e militari di livello nazionale, regionale, provinciale e locale che affollarono le due imbarcazioni componenti la flottiglia dell’Unione, nessuna delle organizzazioni di esuli “consorelle” ritenne di intervenire quantomeno con un delegato in rappresentanza ed, anzi, i vertici associativi e della Federazione tentarono di boicottare l’evento persino a livello politico.
Indubbiamente, in ogni caso, il conflitto del ’14-’18 ha rivestito un ruolo determinante nella vicende dell’Europa e del mondo civilizzato ed ha determinato in maniera vincolante, in una visione deterministica della storia, gli accadimenti successivi che hanno traghettato l’umanità dalla modernità alla contemporaneità. Innanzitutto perché si è trattato del primo conflitto totale che abbia mai avuto luogo, avendo esso coinvolto nella storia euro- pea, per la prima volta, potenze geograficamente estranee a quello scenario ma geopoliticamente direttamente vincolate ad esso. Inoltre, è noto ad ogni storico militare come si trattò della prima vera guerra moderna, sia per i numeri coinvolti quanto a risorse umane e materiali, sia per il coinvolgimento indistinto ed interconnesso dei civili e dei militari, sia per gli innovativi e devastanti armamenti tecnologici e per le nuove filosofie di utilizzo di quegli stessi strumenti bellici. Tattica e strategia militare, dopo la comparsa della guerra aerea, dei tank e dei panzer, dei gas e degli aggressivi chimici, delle mitragliatrici e della guerra marittima indifferenziata, tanto per menzionale alcuni tra gli esempi più eclatanti, non sarebbero mai più state quelle sino ad allora conosciute.
Inoltre il conflitto bellico portò, o fu elemento catalizzatore, del collasso e della repentina scomparsa dei grandi imperi centrali, come quello Austro Ungarico o quello Ottomano, che erano stati per secoli concretizzazione e simbolo vivente dell’ordine costituito, mentre si affacciarono sulla scena d’Europa, emergendo da quelle medesime ceneri che avevano contribuito a generare, i primi stati nazionali in senso moderno.
Per l’Istria, in particolare, il periodo bellico rappresentò una sorta di autoclave che accelerò i processi di autocoscienza nazionale di parte delle componenti etniche, anche di minoranza, presenti sul territorio, gettando le basi di quelle instabilità sociopolitiche che il nascere delle idee assassine del lungo Novecento forgiò e strutturò e che portarono poi alle inenarrabili ed inesaurite tragedie per gli Italiani dell’Adriatico orientale.
Indubbiamente crebbe e si sviluppò, di fatto negli strati medio-alti delle classi più abbienti ed acculturate, il fenomeno irredentista – il quale venne poi ripreso, mitizzato ed idealizzato dalla propaganda del regime fascista, che ne impiantò ideali e tesi, nella loro versione più addomesticata alle finalità nazionali e sociali della politica mussoliniana, nelle menti e nei cuori della generazione dei Balilla –, il quale si radicò in Istria (fatta eccezione per specifiche realtà costiere come Capodistria, ad esempio, ove ebbe diffusione effettivamente ampia, raccogliendo slanci ed entusiasmi assai condivisi) soprattutto nel suo aspetto di autocaratterizzione etnica e nazionale, in contrapposizione ed in contrasto al rischio dell’affermazione prevaricatrice delle nazioni slave nell’ambito dei popoli dell’impero austroungarico. Di tali evidenze, sulle quali è ormai necessario riflettere a mente fredda e con il necessario distacco oggettivo, ne è prova lampante l’adesione tutto sommato numericamente limitata agli slanci volontaristici verso l’Italia regnicola, nel corso del conflitto, rispetto alla massa assai più numerosa di coscritti istriani nelle forze armate imperialregie che non disertarono ed, anzi, combatterono lealmente sui fronti orientale e meridionale.
Non vi è famiglia istriana già dall’immediato entroterra costiero, infatti, che non conservasse sino alla data dell’Esodo, in bella mostra e con orgoglio, i fotoritratti di parenti maschi immortalati nella divisa della duplice monarchia all’atto della partenza per le operazioni belliche, o dei congiunti caduti e dispersi in Galizia o in Bosnia combattendo per l’Imperatore. E ciò, è giusto ricordare, non accadeva solamente tra gli austriacanti, ma anche e soprattutto tra famiglie di indubbia fede patriottica italiana e talvolta persino di attivisti e militanti di lunga data nella Lega Nazionale.
Soprattutto nelle realtà rurali ed agricole, come detto, l’autocoscienza etnica, indubbiamente italiana della maggioranza della popolazione, afferiva come connotazione identitaria alla nazione italiana dell’Impero ma non vi erano spesso strumenti economici o sociali che favorissero, come nel caso delle classi più abbienti o nelle famiglie di intellettuali, il fenomeno del volontarismo nei reparti del Regio Esercito – che passava attraverso le necessarie fasi della diserzione o della renitenza alla leva imperiale e conseguente esfiltrazione dal territorio – e, di fatto, il fenomeno ebbe scarsissima presa quantitativa.
La maggior parte degli Istriani, al pari di molti triestini, vennero reclutati nel 97° reggimento di fanteria, che nel corso delle primissime fasi del conflitto, quindi nel corso dell’anno 1914, fu impiegato sul fronte orientale in Galizia, ove prese parte alla battaglia di Leopoli uscendone decimato al 75%. La restante parte di richiamati dall’Istria, a parte un certo numero di giovani originari dalle località costiere che vennero arruolati nella Kriegsmarine, vennero intruppati in vari reparti della Landswehr, che furono impiegati anche in combattimento sul fronte meridionale.
Ecco pertanto che, tirando le doverose somme ed uscendo dagli usuali schematismi di maniera e di propaganda che tanto piacquero e continuano a piacere ai demagoghi di regime ed a quelli postbellici e contemporanei, la Memoria che gli Istriani possono e debbono commemorare nel corso dell’anno entrante è proprio quella dei tanti giovani che caddero nelle fila imperiali, lontani da casa, lasciando madri, sorelle, mogli e figli senza mai più ritornare.
Così come sarà giusto e doveroso ricordare e celebrare le scelte e le gesta dei Volontari Irredenti, negli anni di giusta ricorrenza, in una condizione di vera e giusta riconciliazione con l’Austria e le sue genti – ove, vale rimarcare, al contrario di quanto accade con Slovenia e Croazia, è davvero naturale e spontaneo onorare al contempo i propri e gli altrui Caduti, senza distinzione o discriminazione nella memoria – è giunta l’ora di svincolarsi dai precetti ideologici e tributare il giusto omaggio anche alla moltitudine di giovani Istriani che persero la vita cent’anni fa.
@EnricoNeami