Simone Cristicchi nel Magazzino 18 del Punto Franco Vecchio di Trieste

Non è mia intenzione dubitare delle capacità tecnico-artistiche di Simone Cristicchi, né della piacevolezza e dell’indiscusso successo riscontrato dal suo recital Magazzino 18, ma il suo tardivo scoprire la nostra storia, per raccontarla poi a modo suo in uno spettacolo che, – attenzione! – solamente dopo le necessarie ed indispensabili proteste da parte dell’Unione degli Istriani, è stato reso con difficoltà accettabile, non mi convince né mi garba molto.

Cristicchi mi pare personaggio assai più vicino alla poetica anarco-insurrezionalista che non alla verità storica, ed ha sentito la necessità di “contestualizzare” l’Esodo giuliano Dalmata con i versi in sloveno di Boris Pahor (che poi, solo grazie alle citate proteste dell’Unione degli Istriani, sono spariti) e con bambinette che recitano, sempre in sloveno, la storia del campo di concentramento fascista di Arbe – che il pubblico triestino, poi, linguisticamente ignorante, non ha capito né compreso solamente perché non parla lo sloveno ed i sottotitoli sono spariti dopo la prova generale, al solo scopo di non suscitare prevedibili fischi a scena aperta.
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Pur comprendendo come si tratti, in fin dei conti, di uno spettacolo teatrale, questo modo di “raccontare la storia” con il bilancino dell’historically-correct non è per me accettabile e non credo che, tanto per ribaltare la frittata a mo’ di esempio, ne La Torre d’Avorio che il pur ottimo Luca Zingaretti mette in scena sempre al Teatro Rossetti di Trieste dall’11 dicembre prossimo e che è incentrata sul processo di Norimberga, troveremo una “contestualizzazione” che bilancerà i crimini nazisti con gli esempi di diffuso antisemitismo nei più civili paesi europei dalla fine dell’800 – l’affaire Dreyfuss docet – alla seconda guerra mondiale, o con cenni alle successive persecuzioni ingiuste postbelliche contro i civili tedeschi in europa orientale e nei Sudeti, o sugli stupri delle donne tedesche gravide in Prussia Orientale ad opera dell’Armata Rossa.

Del resto i “patron” di Cristicchi sono stati i vertici e la direzione dell’I.R.C.I. che ha concesso al noto cantante di Sanremo – Cristicchi – di gironzolare a piacimento tra le masserizie del magazzino 18 per lunghi mesi, mentre aveva precedentemente boicottato ed ostacolato l’accesso alle stesse masserizie da parte di altre compagnie teatrali – meno note e certamente meno sponsorizzanti – che, ben prima e comunque assai più efficacemente, avevano reso emozioni e tragedie della nostra gente, senza bilanciarle con tali equilibrismi assai compromissori e molto poco oggettivi.

Anche il fatto che lo spettacolo Magazzino 18 sia stato così ben accettato e lodato da Maurizio Tremul, che siedeva in un costoso palco del Rossetti alla prima – palco deluxe pagato dall’Italia, ovviamente – della piece di Cristicchi, mi fa ritenere che siano stati messi in scena molti compromessi, parecchie controbilanciature ed omesse molte verità (Maria Pasquinelli, ad esempio, è stata censurata dal copione originario per non turbare le menti dei benpensanti: o c’era Pahor a raccontare il Balkan, o non c’era posto per la Pasquinelli; e così purtroppo è stato!).
Volendo, infine, studiare la poetica di un’artista, prima di abbandonarmi a facili lodi di una singola opera, bisognerebbe riconsiderare probabilmente molte delle entusiastiche valutazioni che sono state fatte sull’artista.
Tralasciamo la canzone Mio nonno è morto in guerra. Per ricordare cos’è la guerra in questi tempi di finta pace, che deriva pur sempre da un’esperienza familiare e sulla quale, quindi, non mi permetto di ponrificare – ma perché, mi chiedo comunque, vengono cantati e rimembrati dai grandi dello spettacolo solo Ebrei e partigiani? Mai qualcuno che ricordasse le vittime del triangolo rosso, o gli infoibati, o i Sudeti o i tedeschi in Polonia, o i bambini di Dresda o le milgiaia di altre vittime innocenti del fosforo bianco lanciato dai Liberators angloamericani sulle città in cui restavano solo donne, vecchi e bambini o, ancora, i civili nuclearizzati a Hiroshima o Nagasaki…. – ma della quale di riproduco di seguito il testo:
Mio nonno muore 
Ogni volta che un crimine resta impunito
Ogni volta che un massacro di innocenti viene rimosso
Ogni volta che il silenzio discende
Sulle masse che non sanno.
Mio nonno muore ancora di più’ 
In questi tempi di finta pace.
 
RAUS!
La sera della Pasqua ebraica bussarono alla porta.
Mia sorella andò’ ad aprire e tornò’ verso di noi senza nemmeno
riuscire a parlare: dietro di lei due SS con bombe a mano e un’altra
sulla soglia con il mitra spianato.
Dissero qualcosa in tedesco che nessuno capì’.
Poi uno di loro consegnò’ a mio padre un foglio: avevamo venti minuti
di tempo per uscire di casa, e ci sarebbe tornato utile qualche indumento.
Mio padre e i miei fratelli cercarono di intercedere per il nonno,che aveva
ottantaquattro anni, provarono a convincerli che, datata la sua età’ e
le sue precarie condizioni di salute, non avrebbe potuto di certo
lavorare, anzi sarebbe stato un peso.
” Raus!” sbraitarono le SS. ” Fuori!” Eravamo
all’ultimo piano della palazzina e i miei fratelli presero sotto
braccio il nonno per aiutarlo a scendere più’ velocemente.
Fuori dal portone trovammo un’ambulanza con due ragazzi italiani,
fascisti: erano stati loro a denunciarci, dietro un compenso di cinquemila
lire a prigioniero.
Eravamo in otto: quarantamila lire.
Non bastava. Uno dei due ragazzi ordinò’ a mio padre di dirgli dove
teneva nascosti i preziosi, così’ ne avrebbe usato una parte per
corrompere i tedeschi e liberarci. Ma noi non possedevamo nulla.
Mia sorella riconobbe il ragazzo: l’aveva incontrato quella mattina al
mercato e lui si era mostrato stranamente interessato a lei, probabilmente
l’aveva seguita.
L’ambulanza ci portò’ in carcere, dove un soldato ci fece mettere
faccia al muro, davanti all’ufficio matricole, con l’obbligo di
non parlare, controllati a vista da una sentinella.
Mia sorella e mia madre vennero condotte al reparto femminile.
Iniziarono così’ le pratiche di registrazione per il nostro imminente
ingresso al campo, entrammo uno alla volta per compilare la scheda
numerata con generalità’ e descrizione dei connotati.
In ultimo ci presero le impronte digitali.
Uscendo da quella porta io non riuscì’ a trattenere le lacrime e mio
padre se ne accorse. In quel momento lui capì’ che non ci sarebbe
stato scampo e ci disse : “Qualsiasi cosa dovesse accadere, figli
miei, ricordatevi di non scordare mai la dignità’!”
Dignità’. Quando hai tanta fame da arrivare ad implorare con lo sguardo
il tuo carnefice, mentre ti versa la brodaglia, sperando che affondi un
po’ di più’ il mestolo per ricavarne qualcosa di solido, non
esiste nessuna dignità’. Quando alzare la testa significa votarsi alla
tortura, non resta che l’obbedienza, e  il disprezzo di sé.
Io avevo quindici anni e non volevo morire.
Ma quella che è per me davvero ed assolutamente inaccettabile è la canzone Genova Brucia, del 2010.
Le parole che il Cristicchi, obiettore di coscienza, mette in bocca ad un poliziotto del Reparto Celere sono vergognose, inacettabili e ripugnanti, irriguardose di coloro che portano la divisa e per quattro lire rischiano quotidianamente la vita per garantirci sicurezza e libere istituzioni. Per garantire, anche, ai Cristicchi di turno la libertà di poter cantare le loro offese, ed ai “giovani di Seattle” di mettere a soqquadro le nostre città senza essere falciati dalla mitraglia di potenziali Bava Beccaris contemporanei.
Io che, nel mio piccolo, ho giurato a questa Repubblica di servire lo Stato e difendere le libere Istituzioni ed ho fatto il mio dovere di cittadino prestando servizio di leva – anche se non in Polizia o altre forze dell’ordine – non accetto da nessuno simili abominevoli insulti, meno che mai da un Cristicchi sinistreggiante che, con la sua implicita lode ai “rivoluzionari” che misero a soqquadro Genova e parallizzarono il paese causando migliaia di danni, guadagna al caldo del suo salotto perbene della Roma più ladrona i suoi globalizzatissimi diritti d’autore con le vendite di CD e su iTunes.
A lui, ed quelli come lui, da me non si potrà che sentire una sola parola loro riservata: “VERGOGNA!”
twitter-icon @EnricoNeami
GENOVA BRUCIA. DI SIMONE CRISTICCHI, 2001

Mi ricordo una missione un po’ speciale

Genova 2001 vertice mondiale

sono un poliziotto del reparto celere

pronto alla guerra

ma più che una battaglia in strada sembra un carnevale

tutti questi pacifisti del cazzo

che si fanno chiamare popolo di Seattle

massa di straccioni con bandiere arcobaleni

che solo a guardarli in faccia già divento paonazzo

Sono duecentomila e vogliono cambiare il mondo

e pensano che per cambiare basti un girotondo

io non so nemmeno chi ha ragione o chi ha torto

ma vuoi vedere che a sto giro qui ci scappa il morto?

Oguno sceglie la sua forma di protesta

c’è chi ha steso fili di mutande fuori alla finestra

c’è chi vuole oltrepassare la zona rossa

c’è chi canta “Avanti popolo, alla riscossa!”

Genova brucia

sono autorizzato dallo Stato

eseguire gli ordini non è mica reato e quindi

Genova brucia

non faccio distinzioni donne, vecchi o bambini

potrebbe essere tuo figlio Carlo Giuliani

Genova brucia

Genova brucia

Genova brucia

Mi ricordo una missione un po’ speciale

Genova 2001 squilla il cellulare

con la suoneria di Faccetta Nera

sono fascista, non credo sia una cosa di cui mi debba vergognare

Zecche, parassiti e comunisti

ci mancava pure quella banda di teppisti

con la tuta nera ed il passamontagna in testa

con le spranghe fanno a pezzi tutto e ci rovinano la festa

Fate la carica e poi ve la date a gambe

tenete il manganello e la pallottola vagante

tute bianche si tingono di sangue

sudore e lacrimogeni sparati sulla gente

Tu che ti rifugi nel cortile

prenderai più bombe che se fossi nato in Cile

la Costituzione come carta igienica

usala per pulirti il culo o tamponarti le ferite

Genova brucia

sono autorizzato dallo Stato

eseguire gli ordini non è mica reato e quindi

Genova brucia

non faccio distinzioni donne, vecchi o bambini

potrebbe essere mio figlio Carlo Giuliani

Genova brucia

Genova brucia

Genova brucia

Qui non serve a niente chiedere aiuto

piangi quanto vuoi non ti risponderà nessuno

non c’è Manu Chao e nemmeno il tuo avvocato

canta la mia filastrocca siamo al Bolzaneto

1,2,3 viva viva viva sei

4,5,6 fossi in te non parlerei

7,8,9 il negretto non commuove

Ne è morto solo uno ma potevano essere cento

i mandanti del massacro sono ancora in Parlamento

Genova brucia

Genova brucia

Genova brucia