
Il tema delle vie e piazze che, nelle vicine repubbliche di Slovenia e Croazia, sono tutt’oggi dedicate a Josip Broz “Tito” è assurto più volte agli onori delle cronache anche grazie ai pezzi di denuncia del periodico Unione degli Istriani, che hanno proposto in varie occasioni dal 2005 ad oggi valutazioni, opinioni, proteste e rilievi su tale spinoso ed annoso argomento.
Chiaramente per gli esuli, il fatto che la toponomastica delle città perdute all’Italia – ma mai ai loro cuori di ex cittadini – sia stata nella sua quasi totalità stravolta, con, in più, l’aggiunta di vie e piazze centralissime (il Caso di Capodistria, oggi Koper, è davvero emblematico!) dedicate al chi era a capo dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo nel periodo degli infoibamenti e di Borovnica, e di chi fu poi padre e padrone in quella Repubblica Federale Jugoslava che forzava gli italiani non comunisti – o non titini, avrebbero obiettato i monfalconesi del controesodo – ed espropriava e nazionalizzava case e terreni, non è argomento su cui si possa soprassedere o che possa essere affrontato a cuor leggero.
La questione è però recentemente tornata alla ribalta in una nuova dimensione quando in Croazia, a Fiume (Rijeka), un esponente locale del partito popolare, l’ex deputato al Sabor Miljenko Doric – con un attivo trascorso anche presso il Consiglio d’Europa, dove aveva avuto occasione di sottoscrivere le ormai storiche dichiarazioni contro tutti i totalitarismi – ha presentato alla commissione cittadina per l’autonomia locale la richiesta di avvio dell’iter per la ridenominazione di piazza Tito, l’ex piazza Jelacic del rione si Susak.
“Josip Broz Tito è stato il leader di un regime antidemocratico, che ha fatto numerose vittime e dunque il suo nome non merita di comparire nella toponomastica fiumana” avrebbe dichiarato Doric a detta de Il Piccolo, quotidiano di Trieste. “Non intendo in questo modo equiparare comunismo e nazifascismo, né intendo denigrare i valori dell’antifascismo, ma è pur vero che dal 1945 in poi nell’ex Jugoslavia si sommisero numerosi crimini, con vittime coloro che non accettavano il sistema. Tito era al vertice di quel regime”.
Discorso e considerazioni comprensibili ed accettabilissime nella loro sostanza – pur ammettendo le umane sfumature di opinabilità derivanti dal trascorso famigliare, storico e politico di ciascuno – pronunziate da un politico di una nazione civile, parte integrante della comune casa europea, fondata anche sul rispetto delle memorie e sul rigetto – come ben dimostra di sapere lo stesso Doric – di ogni forma di totalitarismo antidemocratico.
Ciò che desta però estrema preoccupazione circa la reale maturità della società croata (e slovena, i cui citati episodi di nostalgico revanscismo titino sono altrettanto eloquenti) e sulla reale consistenza della sua vocazione europeista, sono state le ondate di proteste e le levate di scudi di molta parte degli ambienti politici e pubblici, nonché, persino, dell’amministrazione municipale del capoluogo quarnerino.
Sindaco e vicesindaco di Fiume, infatti, si sono espressi chiaramente per una bocciatura della proposta di Doric e per il mantenimento di piazza Tito.
Il sindaco Vojco Obersnel, socialdemocratico, in particolare avrebbe espresso dei concetti piuttosto gravi e totalmente fuori luogo nell’ottica della comune cittadinanza EU.
“Tito non è stato mica perfetto” ha riportato ancora Il Piccolo “ma di questo debbono occuparsi gli storici. Nessuno può mettere in dubbio che Tito abbia avuto dei meriti eccezionali e grazie ai quali Fiume, l’Istria e altre aree dell’attuale Croazia non fanno parte dell’Italia. Josip Broz non può essere paragonato a dittatori come Stalin e Hitler”.
Anche volendo sorvolare sull’immatura e surreale valutazione de-meritocratica sulle dittature – quale dittatore può essere paragonato ad un altro dittatore? È stato più cattivo Stalin o Pol Pot? Era meglio essere sterminati in un lager o in un gulag? Muhammar Geddafi ne uccise di più di Omar Bongo? – l’asserzione secondo la quale il merito principale, pur nella evidente sintesi di una così stringata dichiarazione, di Tito sia stato quello di aver fatto sì che l’Istria e Fiume non facciano oggi parte dell’Italia non è certo sentenza meritevole di considerazione, oltre ad essere palesemente imperialista, retrograda ed antieuropea.
Non più tardi di qualche giorno fa il noto scrittore e studioso Predgrad Matvejevic – con il quale raramente si ha occasione di concordare circa le analisi storico-politiche sul Confine Orientale – esternava quasi a fagiolo in un’intervista, ancora al quotidiano di Trieste Il Piccolo, la propria paura per tutte le jugonostalgie (e quindi per i nazionalismi malcelati che esse nascondono) che proliferano ed attecchiscono sempre più nei Balcani ex jugoslavi.
Negativamente rilevante, inoltre, come su questo argomento, nel quale l’etnia italiana dovrebbe venir tirata in causa in maniera quasi automatica, gli esponenti dell’Unione Italiana – tra cui anche deputati di livello nazionale sia in Slovenia che in Croazia come, ad esempio, Battelli e rispettivamente Radin – tacciano emettendo solamente un diplomatico quanto roboante silenzio. Il presidente della Giunta Esecutiva dell’UI Maurizio Tremul, del resto, è un noto poeta (come recita il suo curriculum vitae ufficiale) la cui ode a Tito ha forse un certo peso nella vicenda …
Non più vie a Tito, bensì via Tito! dovrebbe essere lo slogan ricorrente di ogni strato e livello della società civile in Slovenia e Croazia, in riconoscimento di quante tragedie, lutti e negazioni dei diritti democratici più fondamentali aveva arrecato il regime jugoslavo a tutte le etnie della disciolta Repubblica Federativa.
Evidentemente, le genti oltre il confine che non c’è più, non hanno ancora raggiunto un tale livello di maturità civile.