L’effetto Dunning-Kruger è una distorsione cognitiva cui gli esseri umani sono soggetti, per cui gli individui meno esperti in un dato campo tendono a sopravvalutare la propria effettiva conoscenza mentre, al contrario, individui realmente competenti tendono a sminuire o sottovalutare le proprie capacità.

Questa distorsione – sia nel suo aspetto primario, ovvero l’incapacità metacognitiva dei poco esperti di riconoscere i propri limiti ed errori, sia nella sua forma inversa, cioè l’affievolita percezione delle proprie competenze ed una drastica riduzione della fiducia in se stessi da parte dei più esperti – venne descritta e definita per la prima volta nel 1999 da David Dunning e Justin Kruger, due psicologi sociali della Cornell University, anche se considerazioni molto simili sono state espresse in precedenza a più riprese da grandi pensatori della storia (uno tra tutti Platone, nell’Apologia, con l’arcinoto So di non sapere).

Un’interessante e immediata introduzione all’effetto Dunning-Kruger è agilmente fornita nel seguente video di Mick Odelli liberamente reperibile online:

L’effetto Dunning-Kruger su Wikipedia: VEDI

Come in qualsiasi altro ambito dello scibile e delle attività umane, evidentemente, anche nella pratica e nello studio dell’Aikido si rimane soggetti alla distorsione dell’effetto Dunning-Kruger. E ciò è chiaramente evidente a tutti coloro che intraprendono il percorso aikidoistico.

La peculiarità intrinseca di quest’arte marziale ed alcune apparenti unicità – legate specialmente alla sua pratica in occidente – impongono, però, alcune riflessioni.

La prima e più immediata di queste è legata essenzialmente alle tempistiche che, apparentemente, risultano dilatate rispetto a situazioni altre: i principianti, iniziando la pratica, percorrono una curva di Dunning-Kruger molto più morbida, nella sua prima parte, poiché anche il più ottimista degli shoshinsha (principianti) trascorrerà parecchi mesi prima di smettere di sentirsi completamente incapace e disorientato persino nel tentare di replicare il più elementare movimento di tai sabaki (movimento del corpo) proposto con una certa naturalezza dal suo insegnante.

Di certo tale dilatazione è certamente riscontrabile ma va assolutamente parametrata al tempo effettivo ed all’intensità oggettiva che il principiante riserva allo studio ed all’apprendimento della disciplina. Purtroppo generalmente, in occidente, la pratica dell’Aikido è relegata all’ambito di un ‘corso’ serale e dopolavoristico cui ci si avvicina inizialmente spesso per trovare un’attività di poco sforzo – fisico e mentale – che rilassi dalle fatiche quotidiane; l’avanzare sulla Via muta auspicabilmente la consapevolezza rispetto a tutto questo ma gli impegni della vita quotidiana non consentono di ‘sforare’ nei tempi – ed a volte persino nella qualità – delle lezioni serali.

Il secondo e più imponente ragionamento va fatto invece su quanto credano di sapere i praticanti in rapporto a quanto in effetti essi sappiano; ciò è ancor più ricco di implicazioni se riferito agli insegnanti di Aikido e non ai ‘semplici’ praticanti.

È necessario ritornare per un momento all’immagine d’apertura che propone schematicamente il grafico della curva di Dunning-Kruger: sull’asse delle ordinate (l’asse verticale) leggiamo conoscenza autopercepita, su quello delle ascisse (l’asse orizzontale) invece competenza. Ed è proprio sul valore semantico di quest’ultima parola – la variabile principale che determina la funzione – che si impernia il nostro pensiero, poiché maestri e praticanti che sembrano competenti reagiscono in modo anomalo rispetto alla curva teorica (solitamente in peggio, posizionandosi molto più a sinistra lungo l’asse delle ordinate).

competenza/com·pe·tèn·za/sostantivo femminile

1. Piena capacità di orientarsi in un determinato campo. “è nota la sua c. nel settore finanziario”

2. Legittimazione normativa di un’autorità o di un organo a svolgere determinate funzioni, spec. in campo giudiziario.”c. per materia”

Il problema cruciale è, infatti: in occidente nello specifico, come possiamo definire – e quindi valutare – la competenza di un insegnante di Aikido?

Certamente la seconda voce della definizione sopra riportata – nel caso specifico diplomi, gradi e qualifiche – possono aiutare il neofita ad orientarsi ma si tratta, in realtà, di strumenti spuntati e poco precisi, la cui efficacia nel ‘pesare’ un istruttore è fugata dal proliferare di federazioni, gruppi ed enti di promozione sportiva – ciascuno col proprio sistema di certificazioni che solo in tempi troppo recenti il CONI ha tentato di normare – e da troppi meccanismi di conseguimento clientelare dei gradi, assolutamente svincolati dall’effettiva capacità e conoscenza del candidato. Di tutto ciò si è discusso a lungo – e si discute tutt’ora – in sedi ben più idonee ad affrontare il problema ed un confronto vitale e vivace su questo tema è attivo anche in rete ormai da anni.

Molto frequentemente i ‘maestri’ occidentali si autoaccreditano sulla base dell’anzianità rispetto alla data – reale o presunta – di inizio pratica o sugli anni di pratica, suppostamente continuativa, che solitamente autocertificano.

Nuovamente, anche e soprattutto in quest’ultima seconda riflessione, notiamo come si soccomba facilmente alla tentazione di sostituire subconsciamente la variabile sull’asse delle ascisse, la competenza, con il tempo trascorso sul tatami che, in realtà, non ne è in correlazione se non blandissima.

È ben chiaro a tutti come la quantità di tempo speso – bene ? – sulla materassina non sia assolutamente il garante della qualità della conoscenza e dell’esperienza acquisita dal praticante ed anche dal maestro.

A concorrere, poi, al completamento della distorsione Dunning-Kruger vi sono naturalmente e certamente altri importanti fattori – tutti meritevoli di adeguato approfondimento – come ad esempio la voglia o la capacità di autocritica del singolo praticante, il quantitativo caratteriale di modestia o di umiltà, l’effetto di autoconvinzione generato dai cuscinetti delle comfort-zone, i meccanismi di autodifesa che deragliano sopra lacune tecniche o empatiche dell’individuo e, certamente, anche la mancanza di metodi di verifica ed accreditamento standardizzati e condivisi a livello tecnico o, per finire, la piaga del relativismo aikidoistico (che ci imporrebbe di aprire un altro importante capitolo di riflessioni).

Indubbiamente fermarsi a riflettere su questi argomenti è già di per sé un passo importante per tentare di sfuggire, in questo ambito specifico, agli effetti della distorsione di cui stiamo trattando. È ferma opinione di chi scrive che, a prescindere dalle personali scelte tecniche e stilistiche, un bravo aikidoka possa trovare un notevole conforto anti Dunning-Kruger anche e soprattutto coltivando l’apertura mentale, promuovendo il confronto costruttivo e proattivo e, soprattutto, impegnandosi in un aggiornamento costante a livello tecnico che sia frutto di un adeguato discernimento sulla linea tecnico-ideale individuata.

In breve, si potrebbe azzardare che l’antico adagio di Catone il Censore Educa sempre il tuo spirito e non smettere mai di imparare – ovvero rimani sempre un allievo, anche e soprattutto quando ti chiamano ‘maestro’ – possa indicare la scorciatoia per gabbare l’effetto Dunning-Kruger nel mondo dell’Aikido.

@EnricoNeami