Originale pubblicato su Unione degli Istriani. Periodico della Libera Provincia dell’Istria in Esilio n°6 – luglio/agosto/settembre 2014.

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unione_mailNegli ultimi mesi, a Trieste, più per celia che per reale urgenza, pare ritornata alla ribalta l’eterna diatriba tra patrioti italianissimi, indipendentisti dell’ultima ora e supposti neo-austriacanti filoasburgici.

Come più volte ricordato nelle pagine di questo periodico, la “bomba” è esplosa con l’elevarsi prepotente alle cronache cittadine e soprattutto come argomento principe per le accorate discussioni nei caffé, nei buffet e nelle migliori osterie, della saga scoppiettante del Movimento Trieste Libera, le cui improbabili giustificazioni pseudostoriche, la folgorante accresciuta popolarità in certuni strati della popolazione cittadina, le ardite pretese indipendentiste e le incredibili, supposte, corrispondenze dirette nientemeno che con il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite – oltre che alla produzione di molti triestinissimi gadget di sicuro effetto quali gli adesivi col logo ONU, le targhe automobilistiche del Territorio Libero ed altre divertenti amenità tra cui mancavano solamente, bisogna ammetterlo, le am-lire a suo tempo circolanti nella Zona A!!! – hanno divertito i più e fornito ampio materiale al quotidiano locale nell’intenso quanto breve intervallo tra la nascita del movimento e la sua implosione foriera di frazioni e fazioni l’un contro l’altre armate sempre all’ombra del vessillo del disciolto TLT.

Trieste è, come noto, una città dove, da tempi immemori, alla nascita di un’idea, una proposta o un’azione di qualsivoglia genere e qualità si assiste sempre e comunque ad un parto plurigemellare di entità con pari intensità e consistenza ma con intenti rigorosamente contrapposti; di contralto a questo slancio ritenuto sovra e antinazionale, quindi, sono subito sorti gruppi di pensiero e persino alcune associazioni volte a far muro contro il presunto dilagare di quelle idee indipendentiste e pertanto antinazionali ed antipatriottiche, lette dai nuovi patriottardi come vero e pressante pericolo per la stabilità, l’identità e persino l’appartenenza della città.

In taluni cenacoli è così persino risorto a nuova luce l’ormai desueto appellativo di “austriacante”, che negli ultimi decenni era stato riservato, invero tra lo scherno e il lazzo, più al triestino gitante in “Yugo” con l’adesivo AU sull’auto familiare che non al vero, pervicace, silente ed efficiente agitatore antitaliano, votato anima e corpo alla riunificazione del Litorale alla ormai Defonta e, per proprietà transitiva, anche fattivo sostenitore della truce dominazione austriaca in terra d’Italia.

Ed ecco quindi che nella Trieste del Ventunesimo secolo l’infamante accusa di anti-italianismo filoasburgico viene appioppata, in taluni circoli intellettuali, addirittura con maggior facilità di quanto similmente accadeva nell’ormai lontano 1915, anche e solamente in presenza di semplici accenni a ragionamenti storici documentati sulle vicende della Venezia Giulia tra il 1848 ed il 1918 che escano di poco soltanto dall’ammuffita retorica della ‘generazione dei Balilla’, quella per la quale il Barbaro Nemico che tiranneggiava sulle italiche terre era stato e sarebbe potuto essere sempre e solamente il popolo “tedesco” di Giuseppe Francesco.

Ricordare oggi, infatti, che la maggioranza dei giovani Istriani di un secolo fa servirono in armi non l’Italia come Volontari Irredenti – al cui sacrificio, con tutti i distinguo e le analisi del caso, va comunque il sommo tributo di rispetto ed onori, come infatti sempre è stato da parte dell’Unione degli Istriani – bensì vestirono l’uniforme grigio-luccio imperialregia; segnalare che l’Irredentismo in Istria fu un fenomeno intellettuale limitato ad alcuni strati sociali e sostanzialmente scaturito da una volontà di rafforzamento identitario rispetto alla crescente preponderanza sociale e politica della componente slava in seno ai popoli dell’Impero e non ad una concreta esigenza di svincolamento del Litorale, poi Venezia Giulia, alla sovranità dell’Austria-Ungheria; evidenziare che la città di Trieste deve tutto il suo tramontato splendore agli Asburgo ed alla complessa geopolitica del loro impero multinazionale o, ancora per citare solamente taluni esempi significativi, che il ricordo dell’ottima amministrazione civile austro-ungarica rispetto alla delusione amministrativa del Regno d’Italia, manifestatasi appena decenni dopo la Redenzione al termine della naturale inerzia istituzionale, venne mitigata nelle nostre terre solamente dalla regìa e dall’ardore propagandistico del regime e dall’incipiente quanto disastrosa impresa bellica, vale immediatamente l’iscrizione nell’albo dei sostenitori filoimperiali, fautori dell’idolo che non fu altro che, in realtà, una gran “prigione dei popoli”.

A ben vedere, in realtà, la larghissima maggioranza degli Istriani, tra cui anche persino numerosi intellettuali irredentisti del passato, dovrebbero su questa base essere considerati dei biechi austriacanti: non v’è famiglia – e lo comprovano, oltre alle numerose testimonianze personali, in primis le sacre masserizie dell’ormai stranoto Magazzino 18 (certo nello spettacolo di Simone Cristicchi ciò non emerge, né lo si può apprendere dai suoi “libri”) – che non conservasse gelosamente un fotoritratto dello zio, del cugino o del congiunto immortalato in feldgrün alla partenza per la Galizia, così come non v’è bisnonno tra gli esuli che non abbia raccontato ai propri nipoti, ormai adulti, che gridare “VIVA VERDI” era necessario per non essere sopraffatti dai croati e dagli sloveni ma che, in fondo, prima del ‘18 si viveva comunque assai bene nel Paese Ordinato.

A ben pensarci, in effetti, tra Istria ed Austria non vi è poi così gran distanza: stessa matrice culturale, simili tradizioni, stessi problemi.

Lo aveva ben compreso persino l’avvocato Lino Sardos Albertini, lo storico presidente nonché motore principe dell’Unione degli Istriani nei primi anni di vita dell’associazione: tra le sue carte, nel corso del recente riordino del Fondo Sardos-Albertini, appunto, sono state rinvenute chiare le testimonianze della sua azione di avvicinamento netta e puntuale verso le associazioni combattentistiche austriache, che si svolse per sua fortuna in tempi non sospetti (l’avesse proposta oggi, avrebbe rischiato la damnatio memoriae dei nostri volonterosi patrioti) e che mirava alla soluzione congiunta di problemi paralleli.

Caso eclatante, che si inserisce e completa a puntino tale multiforme contesto, è quello di Nazario Sauro: in previsione della ricorrenza dell’impiccagione, infatti, numerosi lettori hanno voluto scrivere alla redazione per sottolineare o rimarcare gli aspetti più problematici della sua sempre molto dibattuta vicenda.

La lettera di uno degli esponenti più autorevoli dell’attuale panorama associazionistico giuliano-dalmata, che per delicatezza non andremo a citare in questo contesto, riprende e sviluppa persino talune considerazioni avanzate sull’argomento da Giacomo Bollini nel numero del maggio scorso di Limes, la rivista italiana di geopolitica (Fatta la guerra, si fecero gli Italiani, su Limes 5/2014 “2014-1914 L’eredità dei grandi imperi”), esortando con forza l’Unione degli Istriani ad affrontare la ricorrenza del grande centenario esplorando ed approfondendo tutte le rilevanze legate agli accadimenti che coinvolsero le nostre genti un secolo fa, ancorché celate nelle scomode pieghe degli eventi, svincolandosi dagli schematismi e dai sillogismi che retorica e propaganda forgiarono per modellare la storia al proprio ideale politico.

Proprio la vicenda di Sauro, la cui tragedia storica si discosterebbe in realtà non poco dalla figura romantica e leggendaria che per anni venne tramandata, nasconde, a detta del nostro illustre interlocutore, risvolti critici di notevole interesse storiografico: dalle delicate valutazioni sulle sue effettive qualità eroiche al paragone con altre figure dell’ultimo nostro risorgimento come Guglielmo Oberdan o Pio Riego Gambini, dall’argomentazione più volte sollevata circa il fatto che i primi e principali fautori del suo martirio furono proprio i suoi concittadini ed i suoi parenti, all’annosa ed assai poco nota questione degli accordi tra Italia ed Austria-Ungheria sulla reciproca riconsegna e rimpatrio forzato dei rispettivi disertori cui l’Italia contrapponeva un tacito accordo con gli Irredenti che giungevano alle sue coste, garantendo loro il mancato rimpatrio in cambio del servizio “volontario” di prima linea.

Il periodo del Ventennio mitizzò la figura dell’Eroe e del Martire, soprassedendo ovviamente, nella sua vulgata, sulle scomode figure dei “traditori” che convalidarono assai coscienziosamente la sua condanna, al più relegandoli a biechi attori di un dramma svoltosi più sotto l’influsso dei problemi personali e familiari che non politico-nazionali o identitari e glissando abilmente sull’ateismo professo del Martire.

Sauro, spiacevolmente, si conciliava infatti con sola una delle facce della trimurti Dio, Patria, Famiglia, poiché, oltre ad essere un non credente convinto, aveva anche da tempo abbandonato accanto al focolare domestico la giovane moglie con il figlio in fasce in favore dei suoi traffici.

Soprattutto dopo l’Esodo dall’Istria e dalla Dalmazia, la figura di Sauro divenne simbolo concreto ed iconico dell’identità italiana delle terre nuovamente irredente.

Da allora a Trieste, annualmente, una costosa cerimonia organizzata dal Comitato Onoranze a Nazario Sauro, ne ricorda il martirio, al suono surreale e lievemente blasfemo delle allegre arie prodotte da una banda cittadina, ogni 10 agosto alle 19.45, ora in cui venne eseguita la sentenza.

Sarà per l’irritante gioiosità delle marcette, oppure perché il buon Nazario non aveva un carattere facile e stava antipatico a molti ancor’in vita, sarà perché il patron della manifestazione da anni ormai è il cav. Codarin che non gode a Trieste di grandissimo seguito, o vuoi che forse gli ultimi esuli di Trieste sono tutti “austriacanti”, ma la cerimonia religiosa – tributata fra l’altro ad un’ateo professo e militante, per giunta! – e la deposizione di una coroncina al Parco della rimembranza di San Giusto viene regolarmente disertata dalla massa degli esuli e bellamente ignorata dai triestini.

Nonostante ciò, in previsione del centenario dell’impiccagione, le associazioni aderenti al Comitato Onoranze sembra programmino di promuovere una grande manifestazione a Koper in memoria del Martire. O, almeno, ciò è quanto emerge dagli esiti di una recente conferenza stampa promossa dal Codarin di cui sopra.

Meglio tralasciare le considerazioni su alcune deliranti proposte collaterali di cui si è avuto sentore a tal proposito, tra le quali quella di usufruire degli incerti contributi alle associazioni degli esuli per la ricostruzione e ri-posa della targa che il fascismo aveva collocato sulla casa natale di Sauro e che, sempre a Koper, l’entusiasmo yugoslavista postbellico aveva frantumato a picconate: in una folle versione antistorica ed incredibilmente bilingue italiano-sloveno, l’ipotizzata quanto agghiacciante pretesa poliglotta reca infatti l’unico magro sollievo intellettuale nel confermare come, nella nostra ex bella Capodistria, la presenza italiana sia evidentemente ridotta ai minimi termini, tanto da rendere necessaria la traduzione in sloveno di un’epigrafe storica per renderla comprensibile.

Per deduzione, i numerosi asseriti attivisti della locale sezione dell’Unione Italiana non possono davvero essere i discendenti degli Italiani rimasti se non in relativissima parte, e non ne conservano quindi lingua, usi e tradizioni, come da anni si asserisce su queste pagine.

La ventilata ipotesi del centenario “sloveno” di Sauro apre in ogni caso interessanti spunti di riflessione: vi prenderà parte attiva l’Unione Italiana? Alla cerimonia, presenzieranno in forma ufficiale i suoi dirigenti, coinvolgendo attivamente una nutrita rappresentanza dell’asserito gran numero di attivisti?

O andrà a finire come per le recenti occasioni di pellegrinaggio congiunto sulla foiba di Vines – immediatamente controbilanciato per risibile ed insussistente par condicio da una sacrilega deposizione congiunta ad un cippo partigiano con tanto di stella rossa e foto ricordo – organizzata dal Libero Comune di Pola in Esilio, quando i dirigenti dell’U.I. si presentarono comunque in numero sparuto e senza alcuna rappresentanza associativa, furtivi ed imbarazzati come ladri nella notte?

O peggio ancora, accadrà come per l’annuale pellegrinaggio organizzato dalla Famiglia Parentina al cimitero di San Marco a Parenzo, dinnanzi alla lapide – posta nel 2000, e subito sfigurata per censurare il termine “infoibati” ad opera dell’allora sindaco di Poreč Pino Maras – che ricorda tutti i parentini scomparsi nel vortice della guerra, dinnanzi alla quale si trovano annualmente sempre meno esuli, nessun patriota triestino e, nonostante gli inviti, neppure un rimasto?

In realtà, infatti, il vero pericolo per la nostra cultura non è davvero l’austriacantismo che si suppone minacci Trieste, bensì è quella forma di “irredentismo civile”, ciecamente italianissimo, che ha ammorbato le nostre associazioni e che spinge i loro vertici – ormai non più composti da esuli – ed i loro associati ad amoreggiare ad ogni costo, non desiderati o, al più, bellamente sfruttati con l’Unione Italiana ed i suoi massimi rappresentanti.

Tale malsana corrente di pensiero poggia su presupposti falsati, come più volte abbiamo rimarcato: si presume che la consistente autodichiarata ed autocertificata minoranza italiana in Istria coincida quantitativamente con il notevole numero di attivisti dell’Unione Italiana, e che tale popolazione nutra sinceri sentimenti patriottici sotto la guida illuminata dei vertici dell’U.I. nonché, infine, che una necessaria riconciliazione tra “andati” e “rimasti”, quale preludio di un’intensiva azione di matrice culturale ad alto impatto sul territorio, possa portare ad un ricongiungimento sul piano culturale ed intellettivo delle genti delle terre perdute con la madrepatria.

Tale citato irredentismo civile è sempre pronto a scusare, comprendere e benedire la constatazione delle – in realtà inattuali ed inconsistenti – difficoltà degli Italiani in Istria a poter esprimere appieno e liberamente i propri veri sentimenti patriottici (nel 2014!? Dopo la caduta dei confini con la Slovenia !?! Dopo l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea!?!! Dopo lo “Spirito di Trieste”!?!!!).

Il suo obiettivo, però, di trovare nei rimasti un appoggio sul campo per far sventolare di nuovo, metaforicamente, il tricolore in terra d’Istria, è purtroppo prevedibilmente fallito sotto l’inconsistente leggerezza della propria stessa essenza: invece di trasformarsi in attivi alfieri d’italianità culturale oltreconfine, molte associazioni e persino i loro storici organi di stampa si sono trasformati in meste agenzie in Patria per l’Unione Italiana, la monolitica, unitaria e sempiterna organizzazione di rappresentanza dei Rimasti, paladina delle loro esigenze e della loro visione della nostra storia e financo della nostra memoria.

L’Unione Italiana, in fondo, non ha mai promosso seriamente un processo di concreta e matura autocritica sul passato proprio e dei suoi primi dirigenti, mai concedendo spazio ad una pur minima ammissione sul ruolo dell’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume – UIIF (della quale è diretta discendente ed erede senza soluzione di continuità alcuna) quale apparato del Partito Comunista Jugoslavo, impegnato su più fronti a controllare e contenere le minoranze pericolose, come quella italiana, appunto, al proprio confine occidentale.

Per assurdo, invece, come più volte ripetuto, i rappresentanti di quella stessa U.I. vengono ora portati in palmo di mano dagli apparati della Repubblica Italiana, dalla nostra diplomazia e persino da quelle organizzazioni degli esuli che dovrebbero rivestire, invece, il ruolo di ultimo lume della nostra Memoria prima dell’oblio.

Ancora una volta, anche a questo proposito, le parole del grande Corso, Napoleone Bonaparte, riecheggiano immortali e più che mai opportune nell’eternità: gli onori, le ricompense, gli affetti non possono mai essere per coloro che hanno servito contro la loro patria.

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