Il 13 settembre 2014 si è svolta a Isola, Slovenia, l’annuale celebrazione nazionale del Ritorno del Litorale alla Madrepatria, solennità istituita dalla Repubblica di Slovenia pochi anni fa in “risposta” all’istituzione in Italia del Giorno del Ricordo delle Vittime delle Foibe e dell’Esodo e delle più complesse vicende del Confine Orientale.
Le due ricorrenze istituite per legge sono all’apparenza simmetricamente reciproche ma nascondo una differenza sostanziale che, peraltro, non si limita alla mera concatenazione temporale degli eventi: se la solennità civile italiana commemora le vittime dei nefasti bellici legati agli spostamenti di confine ed ai trasferimenti forzati di popolazione (e cioè vuole ricordare le sofferenze di più parti della popolazione, peraltro di differenti nazionalità, quale monito affinché simili tragedie mai più si ripetano), l’apparentemente omologa cerimonia istituzionale slovena ricorda invece il trasferimento di sovranità avvenuto sull’ex Litorale austriaco tra Italia e Repubblica Federativa di Jugoslavia e, per proprietà transitiva, alla Repubblica di Slovenia, cioè proprio uno di quei mutamenti geopolitici che furono concausa, certamente non primaria, proprio dei trasferimenti forzosi della maggior parte della popolazione allora residente su quel territorio: italiani, tedeschi, sloveni, ecc. (ovvero celebra l’appropriazione imperialista di territori a danno di entità statali contigue percepite come ostili – l’Italia – in ragione del conflitto bellico e delle pluridecennali frizioni e tensioni prebelliche, velata da una spinta neorisorgimentale panslavista).
Il carattere provocatorio e specioso della manifestazione in Slovenia è facilmente riscontrabile nella constatazione di come essa venga annualmente riproposta in forma ufficiale nei grossi centri urbani della costa istriana, quali ad esempio Isola o, in precedenti occasioni, Capodistria, cioè città che, da sempre, rispetto ad un entroterra con una composizione etnica comunque mistilingue, si presentavano come compattamente ed innegabilmente italiane per lingua, cultura ed aspirazioni, e che avevano donato all’Istria – il caso di Capodistria è esemplare in tal senso – il più alto e significativo numero di irredentisti prima e durante il primo conflitto mondiale.
L’edizione 2014, come sempre connotata da una massiccia presenza di simboli e riferimenti all’epopea partigiana comunista – non si vuole entrare nel merito della sacralità delle Memorie, né del carattere fondante dell’antifascismo quale spinta catalizzante nella formazione del giovane stato Jugoslavo postbellico, ma la retorica e la simbologia legate allo scomparso regime comunista, ormai rimosse da tutti i paesi e nazioni dell’Europa Orientale e persino dalla Russia ex sovietica, paiono anacronistiche ed antistoriche nell’Europa Unita di cui la Slovenia spesso si vuol dipingere quale entusiasta portabandiera – si è però anche contraddistinta da preoccupanti toni nazionalistici e pericolosamente neo-irredentisti che difficilmente si possono conciliare con l’asserito mutamento dei tempi su questi temi e sul tanto sponsorizzato “Spirito di Trieste” che avrebbe consentito ad Italia, Slovenia e Croazia di voltar pagina sul passato conflittuale e giungere, finalmente, alla tanto attesa Riconciliazione.
L’oratore principale della manifestazione infatti, Janez Stanovnik (partigiano comunista attivo nell’Istria costiera durante il secondo conflitto mondiale, quindi attivo uomo politico nella Jugoslavia di Tito ed ultimo presidente della Repubblica Federale di Slovenia prima della dissoluzione della ex Federativa, nonché per lunghi anni presidente dell’associazione nazionale ex combattenti partigiani jugoslavi), alla presenza consenziente e plaudente delle massime autorità dello stato sloveno come il presidente della Repubblica Borut Pahor, il presidente del Parlamento Milan Brglez, l’ex capo dello stato Milan Kučan, molti ministri e sindaci e rappresentanti politici di tutta la regione, ha affermato, riferendosi al periodo di sovranità italiana sull’Istria, che il Litorale “raccoglieva le sue energie nell’umiliazione e nel dolore mentre le fiamme distruggevano il simbolo della slovenità a Trieste, ossia il Narodni Dom, mentre a Basovizza venivano fucilati gli Eroi del Tigr, mentre Gentile chiudeva 320 scuole slovene e faceva fuggire i loro maestri per il mondo.” Ed ha proseguito: “Quando poi l’Italia è capitolata questa energia che piano piano si è accumulata è esplosa con forza“.

Concetti quali i simboli di “slovenità” a Trieste o l’eroismo dei terroristi del Tigr, la loro totale enucleazione da ogni contestualizzazione storica e di periodo – sempre però di contralto necessaria ed imprescindibile qualora si affronti il delicato tema delle foibe e dell’esodo – il tenore dell’intero discorso e la totale assenza ad ogni e qualsivoglia riferimento allo svuotamento di popolazioni che seguì il ritorno alla “madrepatria”, nonché alla nascita sul territorio del variegato e complesso tessuto etnico e sociale che ne derivò, mal si inseriscono nel filone del cosiddetto “Spirito di Trieste” che, evidentemente, pare aleggiare univoco e monodirezionale, ottenebrando le sole menti degli entusiasti ed italici suoi propugnatori.
È infine curiosa e peculiare la totale assenza di alcuna posizione presa in merito da parte dei vertici dell’Unione Italiana, organismo autocratico che si propone quale rappresentante unico della minoranza italofona in Slovenia e Croazia e che, del resto, ha giocato d’astuzia e con bassissimo profilo, non a caso, in tutte le fasi che hanno portato all’esalare del tanto decantato Spirito.
Vero è che con simili toni e posizioni – e con la volonterosa accondiscendenza dei più – non si scrive la storia né si costruisce un futuro di vera pace e convivenza tra i popoli.